Il nesso di causa e gli stati pregressi: quale calcolo del “danno differenziale”?

Cosa succede se una persona, che subisce un sinistro, aveva già delle menomazioni? La questione dell’incidenza degli “stati anteriori” (tra i quali, per l’appunto, precedenti patologie fisiche e/o psichiche a carattere invalidante)  pone non pochi dilemmi sia sul versante della causalità materiale (dunque, in punto ascrizione della responsabilità) sia a livello di causalità giuridica. Nella nota a sentenza «Il calcolo del “danno differenziale” da invalidità preesistente: questione risolta dalla “doppia valutazione” di “San Martino 2019”?», pubblicata sulla rivista della Giuffrè Francis Lefebvre Responsabilità Civile e Previdenza (2020, n. 3, pagg. 807-833), Marco Bona commenta una pronuncia della Suprema corte decisamente importante sul tema: Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28986 (Pres. Travaglino, Rel. Rossetti). Questa sentenza affronta la questione del “calcolo” del “danno differenziale” non patrimoniale da invalidità preesistenti, pervenendo a mettere a punto una soluzione per il suo computo retta sull’individuazione e sulla quantificazione del “danno complessivo” (comprensivo di tutti i postumi riscontrati in concreto nella vittima, di qualunque tipo e da qualunque causa provocati) cui sottrarre la misura attribuita all’invalidità preesistente all’illecito. Il modello delineato dalla Cassazione risulta condivisibile quanto al suo schema di base, ma per Marco Bona, che già nel 2004 aveva delineato il modello della “doppia valutazione” per il danno psichico, esso necessita di essere ulteriormente affinato, innanzitutto sul versante della personalizzazione dei pregiudizi relativi ai profili dinamico-relazionali, morali e sofferenziali che esulano dalla combinazione tra punteggi percentuali indicati dai medici legali e valori monetari di base di cui alle tabelle.

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