Corte di Giustizia dell’Unione Europea: le richieste risarcitorie per la tragedia del traghetto Al Salam saranno giudicate nei tribunali italiani

Sentenza nella causa C-641/18

LG e a./ Rina SpA e Ente Registro Italiano Navale

7 maggio 2020


I parenti di oltre 1.000 persone morte uccise nel sinistro mortale avvenuto nel Mar Rosso nel 2006 sono autorizzati a perseguire le loro richieste di risarcimento danni in Italia. Così il comunicato stampa n. 56/20 del 7 maggio 2020 della Corte di Giustizia: «Le vittime del naufragio di una nave battente bandiera panamense possono adire i giudici italiani con un’azione di responsabilità contro gli organismi italiani che hanno classificato e certificato tale nave».

Ha deciso così la Corte di giustizia europea in un caso che coinvolge le azioni giudiziarie di parenti egiziani di vittime e di sopravvissuti all’affondamento del traghetto Al Salam Boccaccio 98 contro RINA, società italiana che certificò il traghetto come sicuro.

All’inizio di quest’anno, l’avvocato generale Maciej Szpunar aveva emesso un’opinione simile suggerendo che le cause dovessero proseguire in Italia.

Più di 1.000 persone persero la vita quando l’Al Salam Boccaccio 98 subì un incendio a bordo, si capovolse e affondò il 3 febbraio 2006 nel Mar Rosso mentre era in rotta verso l’Egitto dall’Arabia Saudita. Fu uno dei più gravi incidenti marittimi nei tempi moderni e le parti lese lamentano che la nave avrebbe navigato nonostante gravi difetti e carenze sotto il profilo della sicurezza.

Il traghetto aveva bandiera panamense ma era certificato da compagnie italiane specializzate nella valutazione della sicurezza delle navi marittime, RINA S.p.A. e la sua controllante Ente Registro Italiano Navale. Entrambe hanno sede a Genova.

Nel 2013, centinaia di sopravvissuti e parenti delle vittime hanno avviato un’azione per ottenere il risarcimento dei danni contro RINA ed Ente Registro Italiano Navale avanti il Tribunale di Genova.

Agendo in giudizio, le parti lese hanno sostenuto che la certificazione della nave come idonea alla navigazione non fosse rispondente alla reali condizioni del naviglio ed abbia concorso causalmente nella causazione del naufragio.

Le convenute sostenevano che stavano agendo per conto dello stato di Panama e quindi avrebbero dovuto godere della stessa immunità garantita agli stati, non potendo la giustizia italiana esercitare il proprio potere né su uno stato estero sovrano né su un suo delegato.

Anche se la nave era registrata a Panama, l’avvocato generale Maciej Szpunar ha affermato che le vittime del disastro avrebbero dovuto essere autorizzate a chiedere danni nei tribunali italiani contro RINA.

Le due società convenute non hanno chiesto l’immunità per le accuse di negligenza relative a loro indagini risalenti a prima del 1999, quando la nave era ancora sotto bandiera italiana. Le cause precedenti al 1999 sarebbero pertanto comunque continuate dinanzi ai tribunali italiani.

La Corte di giustizia europea con sede in Lussemburgo, tuttavia, si è schierata dalla parte dell’avvocato generale e dalle argomentazioni dei legali – in buona parte italiani. – delle parti lese,

Il Tribunale di Genova aveva chiesto alla Corte di giustizia un parere sull’opportunità di concedere l’immunità alle società italiane o di consentire al procedimento di procedere. I difensori delle famiglie delle vittime avevano proposto più volte ai tribunali italiani la richiesta di sottoporre il caso alla Corte di Giustizia a Lussemburgo e questo alla fine è stato concesso nel 2018.
Szpunar ha sostenuto che su questioni che “non rientrano nelle competenze dei poteri pubblici”, l’immunità non si applica necessariamente.

Le entità italiane sono state delegate da Panama con il potere di classificare e certificare la nave, ma il loro lavoro “non può essere considerato come derivante dall’esercizio di poteri pubblici” e quindi non può beneficiare dell’immunità, secondo l’Avvocato Generale.

Anche la Commissione europea, nella discussione avanti la Corte tenutasi a novembre del 2019, ha sostenuto che i querelanti avevano ragione e che il caso avrebbe dovuto procedere nel merito davanti ai tribunali italiani e non a Panama.

Oggi la Corte europea ha riconosciuto che l’immunità non si applica a comportamenti e accuse di negligenza come quelle proposti dagli attori nei confronti di una società di classificazione e di un organismo riconosciuto.

Un commento degli avvocati per i querelanti afferma che «questo pone fine a una battaglia di 8 anni e dimostra come il Tribunale e la Corte di Appello di Genova  si siano sbagliati a non respingere i tentativi di forum shopping di RINA».

Gli avvocati delle famiglie hanno sede negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Spagna, Francia, Egitto e Italia e hanno esperienza in casi marittimi come Exxon Valdez, Costa Concordia e Norman Atlantic, disastri aerei come quelli del Concorde ed Air France AF 447, nonché in altre cause collettive complesse e transfrontaliere come protesi mammarie PIP e Dieselgate.

La nave costruita in Italia e parte della flotta Tirrenia sino al 1999 affondò durante una traversata durante la notte tra l’Arabia Saudita e l’Egitto con oltre 1.400 persone a bordo, la maggior parte delle quali egiziane che tornavano a casa dal lavoro in Arabia Saudita. Si ritiene che un incendio a bordo della nave mal gestito per la inadeguatezza delle misure di sicurezza e la preparazione di ufficiali ed equipaggio nel fronteggiare l’emergenza abbiano concorso al naufragio della nave.

Quattro anni prima dell’Al Salam Boccaccio 98, una nave gemella di nome Al Salam Petrarca 90 subì parimenti un incendio a bordo, si capovolse e affondò nel Mar Rosso in rotta verso l’Egitto dall’Arabia Saudita. Al Salam Petrarca 90 faceva parte della stessa flotta ed era pure classificata e certificata come sicura dalle stesse società RINA.

Gli avvocati degli attori Marco Bona e  Stefano Bertone rispettivamente degli studi legali BONA OLIVA e ASSOCIATI   e  AMBROSIO & COMMODO entrambi di Torino,  osservano che “dopo tanti anni, l’interesse verso il caso da parte delle famiglie che rappresentiamo è intatto, e si aspettano che i tribunali italiani vadano rapidamente al merito”.

Il team di avvocati si aspetta che un’indagine tecnica sull’incendio e sull’affondamento confermi che il RINA ha una parte di responsabilità nel disastro, come gli investigatori egiziani hanno già affermato all’indomani della tragedia indicando in particolare il la difettosità del sistema di drenaggio dell’acqua del sistema drencher antincendio nel garage. Gli avvocati hanno recuperato alcuni ombrinali della nave gemella Al salam Carducci che all’indomani della tragedia era stata prontamente inviata in India al Porto di Alang per essere demolita.


Il caso è stato instaurato facendo valere la normativa italiana della responsabilità solidale, il che significa che se i querelanti vinceranno il caso, saranno autorizzati a recuperare l’intero importo del risarcimento da RINA.

La causa in Italia nonché avanti la Corte di Giustizia Europea è patrocinata per le famiglie delle vittime dagli Studi Legali Ambrosio e Commodo e Bona Oliva e Associati insieme agli avvocati Carlos Villacorta (Spagna), Jean Pierre Bellecave (Francia), Nigel Taylor (Regno Unito), Robert Lieff (U.S.A.) e Yasser Fathy (Egitto).

La discussione dell’udienza per i querelanti è stata condotta dall’Avv. Prof. Fausto Pocar con gli Avv.ti Marco Bona e Stefano Bertone.

Questo il principio fissato dalla Corte di Giustizia: «L’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che un ricorso per risarcimento danni proposto contro persone giuridiche di diritto privato che esercitano un’attività di classificazione e di certificazione di navi per conto e su delega di uno Stato terzo rientra nella nozione di «materia civile e commerciale» ai sensi di tale disposizione e, di conseguenza, nell’ambito di applicazione di tale regolamento, qualora tale attività non sia esercitata in forza di prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto dell’Unione, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare. Il principio di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale non osta all’esercizio, da parte del giudice nazionale adito, della competenza giurisdizionale prevista da detto regolamento in una controversia relativa a un siffatto ricorso, qualora detto giudice constati che tali organismi non si sono avvalsi delle prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto internazionale».

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