Presidenza del Consiglio dei Ministri contro BV

Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 16 luglio 2020, causa C‑129/19

Anche le “vittime residenti” devono essere tutelate e con indennizzi adeguati

 

Gli Avvocati Oliva, Bona e Bracciani in Lussemburgo alla Corte di Giustizia per l’udienza del 2 marzo 2020

 

Questa della Grande Sezione della Corte di Giustizia è una sentenza importante per le vittime di reati violenti intenzionali in tutta Europa: la Corte si è espressa nella causa C‑129/19 con una pronuncia che affronta due temi importanti, l’individuazione delle vittime tutelate dal sistema risarcitorio/indennitario previsto dal diritto dell’Unione Europea ed i limiti alla discrezionalità degli Stati nella fissazione degli indennizzi.

 

  1. La storica sentenza: principi ed effetti sul sistema indennitario italiano e sulla responsabilità dello Stato.

 La pronuncia afferma innanzitutto i seguenti principi:

  • il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato, riconosciuto dal diritto dell’Unione Europea (la direttiva 2004/80/CE) vale non solo per le vittime di reati intenzionali violenti commessi nel territorio di uno Stato membro che si trovano in una situazione transfrontaliera (le c.d. “vittime in transito”), ma anche per le vittime che risiedono abitualmente nel territorio di tale Stato membro (le c.d. “vittime residenti”);
  • le vittime e/o i loro famigliari hanno diritto al risarcimento dei danni causati dalla violazione, da parte di uno Stato membro, del suo obbligo di indennizzo ai sensi della direttiva 2004/80/CE, ciò indipendentemente dalla questione se la vittima si trovasse o meno in una situazione transfrontaliera nel momento in cui è stata vittima di un reato intenzionale violento (pertanto, una ragazza italiana violentata o lesa in Italia ha diritto ad agire nei confronti dello Stato italiano per i ritardi e gli inadempimenti nell’attuazione della direttiva del 2004).

In pratica, in base a questa sentenza lo Stato italiano non può più sostenere, nei confronti delle “vittime interne”, l’assenza di una sua responsabilità per il ritardo nell’attuazione della direttiva; più nello specifico, per effetto della pronuncia del 16 luglio 2020 il diniego di responsabilità finora eccepito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nei confronti delle vittime italiane risulta del tutto infondato.

A supporto dell’interpretazione della direttiva nel senso di tutelare innanzitutto le “vittime residenti” la Corte di giustizia ha addotto sia il dato testuale della direttiva che i ‘considerando’ 3, 6, 7 e 10. Per la Corte non si può dubitare di quanto segue: «l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 impone a ogni Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo che ricomprenda tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nei loro territori e non soltanto le vittime che si trovano in una situazione transfrontaliera» (§ 52 della sentenza).

A questa medesima considerazione era già pervenuto l’Avvocato Generale Michal Bobek nelle sue conclusioni del 14 maggio 2020, per l’appunto sostenendo, in linea con le tesi della vittima torinese, la tesi per cui la direttiva impone agli Stati membri di istituire sistemi di indennizzo nazionali per qualsiasi vittima di reato intenzionale violento commesso nei rispettivi territori, «indipendentemente dal luogo di residenza della vittima». A supporto questa di questa soluzione l’Avvocato Generale aveva addotto, fra l’altro, che «la legislazione deve essere interpretata dal punto di vista di un normale destinatario, che verosimilmente non inizia a ricercare diversi documenti (non sempre accessibili al pubblico) relativi alla storia legislativa di uno strumento, al fine di scoprire se ciò che è scritto nel testo rispecchi la volontà soggettiva del legislatore storico». Tuttavia, mentre l’Avvocato Generale aveva rilevato anche elementi a favore di un’interpretazione contraria (in particolare aveva attribuito alle tesi della vittima una vittoria dinanzi ad una situazione di “spareggio”), nella sentenza del 16 luglio la Corte di Giustizia non ha avuto esitazioni di sorta nell’affermare l’estensione della direttiva alle “vittime residenti”, il che, come logico, conferma la sicura responsabilità dello Stato italiano nel ritardo e nell’inadempimento della direttiva (oltre che nella difesa della sua testi discriminatoria nelle cause intentate nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri).

La sentenza, inoltre, è altresì fondamentale – anche nella prospettiva dell’armonizzazione degli indennizzi in materia a livello dell’Unione – sul piano della nozione di indennizzo “equo e adeguato” e, dunque, dei limiti posti al legislatore nazionale, ciò non solo con riferimento alle vittime di violenze sessuali, ma anche in relazione ai famigliari dell’ucciso ed alle vittime di lesioni personali.

Questo secondo punto è importante in quanto, per scongiurare cause di questo tipo e condanne da parte della Corte di giustizia, il legislatore italiano, pur con estremo ritardo e soltanto nel 2017, era intervenuto a prevedere i seguenti indennizzi: – per il reato di omicidio l’«importo fisso» (da dividersi fra tutti i famigliari legittimati attivi) di Euro 7.200, incrementato a Euro 8.200 nel caso di omicidio commesso dal coniuge o da persona legata, nel passato o al momento del fatto, da relazione affettiva alla persona offesa; – per il reato di violenza sessuale l’«importo fisso» di Euro 4.800; per le lesioni personali: soltanto un indennizzo a titolo di rifusione delle spese mediche ed assistenziali «fino a un massimo di euro 3.000».

A fronte di tali importi, nella “causa pilota” torinese, avanti la Cassazione, la Presidenza del Consiglio aveva sostenuto che tali interventi legislativi fossero tali da soddisfare le pretese delle vittime e della ragazza torinese. Secondo i legali della ragazza, invece, con tali leggi l’Italia aveva previsto per le vittime indennizzi assolutamente irrisori e, quindi, non aveva in nessun modo rimediato al suo inadempimento.

Inoltre, la strada per ottenere tali elemosine di Stato si era rilevata sin da subito irta di ostacoli assurdi e vessatori: è molto complesso per le vittime accedere a tale tutela.

Anche la Cassazione, nell’ordinanza del 31 gennaio 2019 di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, aveva affermato che questi indennizzi si collocavano nell’«area dell’irrisorio» e l’importo di euro 4.800 per le vittime di violenze sessuale costituiva una somma «palesemente non equa».

Soltanto nel novembre 2019 il Governo ha rivisto tale importo, portandolo all’importo fisso di euro 25.000.

 

Sul punto del quantum degli indennizzi l’Avvocato Generale Michal Bobek, pur con un approccio dallo stesso definito “minimalista”, aveva sostenuto che l’indennizzo di una vittima è equo ed adeguato”, ai sensi della direttiva, quando fornisce un contributo significativo alla riparazione del danno subito dalla vittima. In particolare, per l’Avvocato generale l’importo dell’indennizzo concesso non può essere talmente esiguo da divenire puramente simbolico, o da rendere la sua utilità per la vittima, in pratica, trascurabile o marginale.

 

La sentenza del 16 luglio 2020 si è posta sulla stessa scia, affermando il principio per cui un indennizzo forfettario concesso alle vittime di violenza sessuale sulla base di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può essere qualificato come «equo ed adeguato» (come richiesto dalla direttiva) qualora sia fissato senza tenere conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e non rappresenti quindi un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito; in altri termini,  non solo i danni materiali, ma anche quelli non patrimoniali (biologici, morali) devono essere riparati in modo soddisfacente.

 

È da notarsi innanzitutto l’espresso riferimento da parte della Corte di giustizia anche al danno immateriale ed al danno morale, per niente scontato, atteso che la direttiva non li menzionava, il che costituisce già di per sé un’importante novità.

Per quanto concerne la libertà d’azione dei legislatori nazionali, così si legge nella sentenza: «uno Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 se le sue disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime» (§ 63).

Nello specifico, per la Corte «l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 non può essere interpretato nel senso che osta a un indennizzo forfettario di tali vittime, in quanto la somma forfettaria assegnata a ciascuna vittima può variare a seconda della natura delle violenze subite. Tuttavia, lo Stato membro che opti per un siffatto regime di indennizzo deve provvedere affinché la misura degli indennizzi sia sufficientemente dettagliata, così da evitare che l’indennizzo forfettario previsto per un determinato tipo di violenza possa rivelarsi, alla luce delle circostanze di un caso particolare, manifestamente insufficiente» (§§ 65 e 66).

Ai § 67 e 68 la Corte ha aggiunto quanto segue: «Per quanto riguarda, in particolare, la violenza sessuale, occorre rilevare che si tratta di un reato, tra quelli intenzionali violenti, che può provocare le conseguenze più gravi. Pertanto, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, un importo forfettario di EUR 4 800 per l’indennizzo della vittima di violenza sessuale non sembra corrispondere, prima facie, a un «indennizzo equo ed adeguato», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80» (si noti come non sia affatto abituale per la Corte di Giustizia esprimersi direttamente sulla congruità delle somme monetarie accordate dai sistemi nazionali; in questo caso, invero, ha fatto un’importante eccezione).

Ciò illustrato la parte della sentenza sul quantum degli indennizzi mette in seria crisi sia gli importi previsti dal legislatore italiano del 2017, sia quelli, pur incrementati dal nostro Governo nel 2020.

In particolare, a quest’ultimo riguardo la pronuncia della Corte di Giustizia è importantissima perché permette anche alle vittime future di contrastare, per violazione del diritto dell’Unione Europea, gli indennizzi previsti dal decreto ministeriale del 22 novembre 2019 («Determinazione degli importi dell’indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti»), entrato in vigore il 23 gennaio 2020, e, dunque, di affermare una “responsabilità Francovich” della Presidenza del Consiglio dei Ministri per i seguenti motivi:

  • delitto di omicidio: importo fisso di euro 50.000 (profili di censura anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia: somma da dividersi tra tutti i congiunti del defunto indipendentemente dal loro numero e dall’entità del danno morale e da perdita del rapporto coniugale così come da eventuali danni psichici o perdite patrimoniali; dunque, l’importo è palesemente insufficiente, ciò anche a confronto con l’indennizzo di Euro 200.000,00 previsto per le vittime di terrorismo, mafia, usura, vittime del dovere, limite massimo a sua volta già irrisorio ed in nessun modo “personalizzabile”);
  • delitto di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa (femminicidi compresi): importo fisso di euro 60.000 (esclusivamente in favore dei figli della vittima) (profili di censura anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia: cfr. il punto precedente);
  • delitto di violenza sessuale: importo fisso di euro 25.000 (profili di censura anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia: tale importo non considera le circostanze concrete oppure conseguenti ripercussioni biologico-psichiche o pregiudizi sulle attività lavorative; peraltro, è di gran lunga inferiore agli indennizzi stabiliti dai tribunali, ivi compresa la pronuncia resa dalla sentenza della Corte di Appello di Torino che aveva liquidato alla ragazza 50.000 euro; deve pure notarsi come in base alla Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne dell’11 maggio 2011 – ratificata dall’Italia legge del 27 giugno 2013, n. 77 ed entrata in vigore in data 1° agosto 2014 – base all’art. 31, comma 2, di questa deve essere garantito non già un indennizzo, bensì un « adeguato risarcimento »);
  • delitto di lesioni personali gravissime e delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso: importo fisso di euro 25.000 (profili di censura anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia: tale importo fissa non considera le differenze a livello di entità di lesioni gravissime oppure la diversa età delle vittime; l’importo è di gran lunga inferiore rispetto a quello garantito alle vittime di terrorismo, mafia, usura, vittime del dovere, che prevede un tetto massimo di 200.000,00 euro con importi variabili a seconda della tipologia delle lesioni personali e dell’entità delle sofferenze morali; last but not least, il limite alle sole lesioni gravissime non è in linea con la direttiva;);
  • per tutti i delitti, di cui sopra, l’importo fisso dell’indennizzo è incrementato di una somma equivalente alle spese mediche e assistenziali documentate, fino a un massimo di euro 10.000 (profili di censura anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia: somma irrisoria considerandosi che si tratta anche di lesioni personali gravissime);
  • per lesioni personali minori e lesioni personali gravi si contempla solo un indennizzo per la rifusione delle spese mediche e assistenziali documentate, fino a un massimo di euro 15.000 (profili di censura anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia: la Corte di Giustizia, invece, ha fatto riferimento anche ai “danni non materiali”, ossia ai danni non patrimoniali/morali).

Peraltro, non è certo che in futuro le vittime possano accedere agli indennizzi da ultimo rivisti dato che tali importi sono liquidati nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente ed il decreto del 2020 afferma che dall’incremento degli indennizzi non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (artt. 2 e 3 dm 22 novembre 2019, pubblicato il 23 gennaio 2020).

Per l’Avv. Bona «la sentenza della Corte di Giustizia del 16 luglio 2020 costituisce un’importante conferma della correttezza delle tesi sostenute in oltre dieci anni di causa per la vittima ed offre ulteriori possibilità per far sì che il legislatore si decida a fornire una tutela completa e reale alle vittime».

 

  1. Le origini della sentenza della Corte di Giustizia e le prossime tappe.

 

La sentenza della Corte di Giustizia è intervenuta nella “causa pilota” intentata a Torino contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri da una giovane ragazza vittima, nel 2005, a Torino di sequestro di persona, violenza sessuale e percosse. La ragazza non era riuscita ad essere risarcita dai due violentatori, pur condannati in sede penale, ma senza risorse economiche e resisi irreperibili nel corso del procedimento penale.

 

Oggetto di questa causa era la direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004. All’art. 12, para. 2, questa statuisce per tutti gli Stati UE il seguente obbligo: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime».

 

La tesi della ragazza era che in forza di tale direttiva lo Stato italiano, dal 1° luglio 2005, avrebbe dovuto garantire alle vittime di reati intenzionali e violenti (omicidi dolosi, lesioni dolose, violenze sessuali) commessi sul territorio italiano un risarcimento/indennizzo equo e adeguato nei casi di autore del reato rimasto sconosciuto o sottrattosi alla giustizia o privo di risorse economiche per risarcire la vittima o, nel caso di morte, i famigliari.

 

La tesi del Governo, invece, era che la direttiva non concernesse le vittime di violenze sessuali e, comunque, che riguardasse solo le vittime straniere in transito in Italia, ma non già le vittime residenti in Italia e qui lese.

 

Il Tribunale di Torino (sentenza 2010) aveva riconosciuto l’inadempimento della Presidenza del Consiglio per la mancata attuazione della direttiva. Così poi anche la Corte d’Appello di Torino (sentenza 2012), confermando la pronuncia del Tribunale e condannando la Presidenza: «è certo che l’Italia non ha stabilito un sistema di indennizzo per le vittime di violenza sessuale e pertanto è inadempiente». Alla ragazza furono riconosciuti Euro 50.000,00 di risarcimento, ad oggi non ancora corrisposti dallo Stato italiano.

 

Contro questa sentenza il Governo italiano aveva poi fatto ricorso in Cassazione nel 2012, la quale nel gennaio 2019, dietro insistente richiesta dei legali della vittima, finalmente rimetteva in via pregiudiziale la causa avanti la Corte di giustizia dell’Unione Europea per l’interpretazione della direttiva.

 

Ad assistere la ragazza torinese dinanzi alla Corte di Giustizia gli Avv. Marco Bona, il quale discuteva la causa all’udienza del 2 marzo 2020 in Lussemburgo, e Umberto Oliva (Studio legale MB.O – Bona Oliva e Associati), insieme all’Avv. Francesco Bracciani (che aveva assistito la ragazza in sede penale), oltre l’Avv. Prof. Vincenzo Zeno-Zencovich.

Il percorso per la ragazza torinese è ancora lungo. Dopo la sentenza della Corte di Giustizia la causa tornerà in Cassazione per la decisione finale su inadempimento dello Stato italiano e risarcimento, ma le novità segnate dalla pronuncia del 16 luglio 2020 lasciano sperare bene.

 

Comunicato stampa Corte di Giustizia 16 luglio 2020

 

Corte di Giustizia UE_Grande Sezione_16 luglio 2020_causa C 129-19

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