In data 14 marzo 2019 si è tenuto al Palazzo di Giustizia di Torino il convegno “Risarcimento ed indennizzi delle vittime di reato“, organizzato dalla Commissione Scientifica del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino e dal Comitato Pari Opportunità dello stesso COA . In questa occasione l’Avv. Marco Bona, nel panel dei relatori, ha commentato l’ordinanza interlocutoria della Suprema Corte del 31 gennaio 2019, n. 2964, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE sull’interpretazione della Direttiva 2004/80/CE relativa all’indennizzo delle vittime di reati violenti intenzionali, ordinanza intervenuta nella causa patrocinata anche dall’Avv. Umberto Oliva. L’Avv. Bona ha posto in luce alcune criticità dell’ordinanza, in particolare laddove essa, nel rinviare alla Corte di Giustizia la questione della sussistenza o meno dell’inadempimento italiano, è pervenuta ad affermare che la Direttiva, pur senza dubbio annoverando tra i beneficiari della sua attuazione anche le vittime lese in “situazioni puramente interne”, sarebbe unicamente rivolta nei confronti di “soggetti transfrontalieri”, con la conseguenza che  il suo intempestivo (e/o incompleto) recepimento nell’ordinamento interno  potrebbe far sorgere la responsabilità risarcitoria dello Stato membro soltanto in relazione a tali ultimi soggetti. Al riguardo l’Avv. Bona ha ricordato innanzitutto il tenore lettera dell’art. 12, paragrafo 2, della Direttiva, che per l’appunto non limita in nessun modo l’obbligo gravate sugli Stati membri alle sole “vittime cross-border”  (così la norma: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime»), conclusione confermata anche dai ‘considerando’ e dai lavori preparatori stessi della Direttiva, oltre che dalla Corte di Giustizia nel 2016 (Corte giust. Ue, Grande Sezione, 11 ottobre 2016, C-601/14). Infatti, in quest’ultimo precedente si rinviene affermato che  – cfr. punto 45 della sentenza senz’altro confermativo della tutela delle vittime anche nelle “situazioni puramente interne” –  che «l’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva deve essere interpretato nel senso che esso mira a garantire al cittadino dell’Unione il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite nel territorio di uno Stato membro nel quale si trova, nell’ambito dell’esercizio del proprio diritto alla libera circolazione, imponendo a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio». L’Avv. Bona ha, comunque, rilevato come la Suprema corte, stimolata sul punto dallo scenario delineato in via subordinata dagli avvocati della vittima, abbia prospettato, a favore delle “vittime interne”, l’inadempimento dell’Italia sotto il diverso profilo della cd. “discriminazione alla rovescia” (“reverse discrimination”). Sul punto l’Avv. Bona ha sottolineato come, qualora si dovesse obliterare l’obiettivo recato dalla Direttiva di tutelare le vittime anche laddove lese nei propri Stati di residenza, in effetti si avrebbe la violazione del principio di uguaglianza/non discriminazione, giustamente evocato dalla Cassazione nell’ordinanza interlocutoria (sul punto, dunque, positiva). Peraltro, l’Avv. Bona ha sottolineato come tale principio, preclusivo di un adempimento della direttiva rivolto solo alle “vittime in transito”, non solo sia recato dal TFUE (articoli 18 e 20), dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (articoli 20 e 21) e dalla Costituzione italiana (articolo 3), ma sia altresì confermato dalla legislazione nazionale della Repubblica italiana con specifico riguardo per l’attuazione delle direttive CE/UE, normativa tra cui spicca l’art. 2 («Princìpi e criteri direttivi generali della delega legislativa»), comma 1, lett. h), della legge 18 aprile 2005 n. 62 («Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004»), disposizione che stabiliva il principio per cui «i decreti legislativi assicurano che sia garantita una effettiva parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Stati membri dell’Unione europea» e che, peraltro, avrebbe dovuto delegare al Governo la predisposizione dello schema di decreto legislativo necessario a dare attuazione anche alla Direttiva 2004/80/CE (attesa la scadenza del 1° luglio 2005). Alla relazione dell’Avv. Bona è poi seguita la presentazione della denuncia alla Commissione Europea del 12 marzo 2019  predisposta dal Comitato Pari Opportunità del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino. Con questa lodevole iniziativa il Comitato ha denunciato la permanenza dell’inadempimento dello Stato italiano nonostante i recenti interventi del legislatore italiano (legge 7 luglio 2016 n. 122, legge 20 novembre 2017, n. 167, legge 30 dicembre 2018, n. 145). In particolare, il Comitato ha evidenziato come tali interventi legislativi rechino disposizioni che: a) introducono, a svantaggio delle vittime, autentici ostacoli – irragionevoli, sproporzionati e discriminatori – all’accesso alla tutela indennitaria statale; b) prevedono, come anche rilevato dalla Suprema Corte di Cassazione italiana nell’ordinanza interlocutoria del gennaio 2019 , indennizzi totalmente iniqui ed inadeguati, nonché pure discriminatori rispetto ad altre tutele indennitarie assimilabili; c) si contraddistinguono per la totale assenza di tutela indennitaria e/o risarcitoria a favore delle vittime di reati violenti intenzionali occorsi prima dei detti provvedimenti legislativi, le quali, oltre ad avere diritto agli indennizzi equi e adeguati loro spettanti in base alla Direttiva, al contempo hanno subito, per il periodo pregresso ed in diversi casi per all’incirca un decennio, l’inadempimento accertato dalla Corte di Giustizia UE nella pronuncia dell’11 ottobre 2016. Gli Avv.ti Bona e Oliva sono ora in attesa che il procedimento dinanzi alla Corte di Giustizia avviato dalla Cassazione muova i suoi primi passi.

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